
ITACA
ITACA è il podcast di NODI ed è ideato, creato e condotto da Federico Esu. ITACA è mosso dalla convinzione che conversazioni sincere, rispettose e profonde possano unire le persone, abbattere barriere e creare un senso di appartenenza e scopo. ITACA è un podcast che va oltre la mera raccolta di storie e testimonianze. È un progetto che mira a creare connessioni umane profonde e autentiche tra le persone, colmando le distanze geografiche e culturali tra chi parte, chi resta, chi torna, e chi arriva per la prima volta. Lo fa abilitando e promuovendo la condivisione, l'ascolto e il dialogo tra i vari ‘compartimenti’ del capitale umano della Sardegna. ITACA infatti si rivolge non solo ai tanti sardi che vivono all'estero, ma anche a coloro che sono rientrati in Sardegna dopo esperienze oltremare; a coloro che stanno costruendo e portando avanti progetti interessanti nell'isola; e a coloro che vi ci sono trasferiti dal resto d’Italia e del mondo, e ora considerano la Sardegna come “casa”. In ogni episodio di ITACA, gli ospiti condividono la loro storia, le sfide affrontate, i traguardi raggiunti, le riflessioni e i ragionamenti, creando un mosaico di esperienze capace di ispirare chi ascolta. Il nome del podcast è ispirato all'isola di Itaca, meta finale del viaggio di Ulisse ma anche metafora del viaggio stesso. È il viaggio che ognuno di noi compie nella vita, fatto di sfide, opportunità e scoperte, e che può portare a connessioni inaspettate e a nuovi orizzonti. Nell'omonima poesia di Costantino Kavafis, Itaca rappresenta anche la conoscenza e, nel mondo frenetico in cui viviamo, il podcast ITACA vuole invitare i suoi ospiti e i suoi ascoltatori a non perdere di vista l'importanza del percorso e della crescita personale, e di riflettere su quello che ci circonda. Dal maggio 2021, ITACA è anche una rete internazionale e intergenerazionale di persone che, nonostante le distanze e i diversi percorsi professionali, hanno in comune il desiderio di instaurare conversazioni autentiche e connessioni profonde. Ben approdati e buon ascolto.
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Episodio 81 - Federica da Capoterra
In questo episodio scambio quattro chiacchiere con Federica Marrocu. Federica vive a Capoterra, in Sardegna. Tra gli argomenti trattati: il sardo perduto e ritrovato, il lavoro di guida turistica, lo spopolamento dei paesi, e l'importanza delle parole. Buon ascolto.
ITACA è il podcast di NODI ed è mosso dalla convinzione che conversazioni sincere, rispettose e profonde possano unire le persone, abbattere barriere e creare un senso di appartenenza e scopo. ITACA è un podcast che va oltre la mera raccolta di storie e testimonianze. È un progetto che mira a creare connessioni umane profonde e autentiche tra le persone, colmando le distanze geografiche e culturali tra chi parte, chi resta, chi torna, e chi arriva per la prima volta. Lo fa abilitando e promuovendo la condivisione, l'ascolto e il dialogo tra i vari ‘compartimenti’ del capitale umano della Sardegna. ITACA infatti si rivolge non solo ai tanti sardi che vivono all'estero, ma anche a coloro che sono rientrati in Sardegna dopo esperienze oltremare; a coloro che stanno costruendo e portando avanti progetti interessanti nell'isola; e a coloro che vi ci sono trasferiti dal resto d’Italia e del mondo, e ora considerano la Sardegna “casa”. In ogni episodio di ITACA, gli ospiti condividono la loro storia, le sfide affrontate, i traguardi raggiunti, le riflessioni e i ragionamenti, creando un mosaico di esperienze capace di ispirare chi ascolta.
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Saludi deus eu. Federico Esu e custo est Itaca su Vodcast. Chi è spesente? una comunità di su capitale umano del Sardinia, una regionata infattu del satra. Ci sono ferite invisibili che non lasciano cicatrici sulla pelle, ma abitano nel profondo. Federica Marrocco, ospite di questo episodio, le chiama orfane linguistiche. Sono quelle persone cresciute in Sardegna senza una vera lingua madre, con l'italiano come unico codice possibile e il sardo relegato ai margini, silenziato, a volte persino dimenticato. Troppo italiani per sentirsi pienamente sardi, non abbastanza sardi per sentirsi davvero parte.
Federico :La sua storia è fatta di parole mancate, di eia trasformati in sì, di luoghi e gesti familiari che rischiavano di svanire insieme al silenzio. Ma è anche la storia di una ricerca, di un desiderio di riannodare fili interrotti, di ridare voce a ciò che sembrava perduto. Nel suo percorso c'è il riconoscimento di un dolore che non è solo individuale, ma generazionale. Insieme a quel dolore c'è la scoperta che proprio da lì può nascere un nuovo inizio la mancanza che diventa spinta, il vuoto che diventa comunità, la ferita che diventa forza. Con Federica parliamo di lingua e identità, di come il sardo non sia soltanto uno strumento di comunicazione, ma un mondo di memorie, di saperi e di affetti. Parliamo di come le parole non custodiscono solo il passato, ma possono aprirci un futuro vivo, meticcio, contaminato e creativo, Un futuro che, proprio grazie a quelle parole, possiamo provare a camminare insieme. Buon ascolto.
Federica:Ciao Federica, ben approdata a Itaca. E aggiungerei anche finalmente, Come stai. Ciao Fede, bene, bene grazie mille.
Federico :Sì, sono contenta, molto contenta, un po' in ansia, però sono contenta. Sono molto contenta anch'io di averti qui e a me piace spesso ricordare come ho conosciuto una persona. Ovviamente io ti ho conosciuta prima sui social, nel senso che ho iniziato a seguire quello che tu comunicavi attraverso i tuoi canali, e poi ho avuto il piacere di anche essere guidato da te attraverso le vie di Cagliari. Abbiamo avuto modo di chiacchierare in quell'occasione poi siamo rimasti in contatto. Di chiacchiere, di confronti, di scambi ne abbiamo avuti tanti, ma finalmente ne facciamo uno dove facciamo partecipare anche chi ci ascolterà. Io, fede, ti chiedo innanzitutto di presentarti così a ruota libera dimmi chi sei, dove ti trovi al momento e cosa fai nella vita.
Federica:Tanto ti do, grazie a me. Ho preso la mella di noi in Itaca. Ti do grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a te, grazie a tezi. Sì, prima imparavo proprio a fare una. Non è stata allora. Prima volevo fare una, questa non la faccio una delle scuole di gioco di sardo del Manuso. Io appunto sempre intendo i sardini, le questioni di sardo, ma non appunto mai imparavo a gestire gli stessi, dunque questo, gestire gli stessi in sardo, in modo che sia un manna e che sia un neofreddolo a somma che può essere presentato. È un scemo che faccio sempre fino a che mi sviso. A chi è Può dare coraggio, è quello che pensi. Devo gestire due comprensioni. Ma non lo conosce. E non lo conosce perché non lo conosce. Perché non lo conosce e finché si è appoggiato a quello che abbiamo vissuto in un contesto dove si è preso una identità culturale distinta, ma a questo momento si è accostumato a una parte sa lingua nostra, ma chi ci pensa, usò, si sindisca, resce uso del suo sardo sarà morì, sa parti prode in porto della cultura nostra, questa cultura zarda, tanto donna porta che tengo sa possibilità di chiedere a un pubblico che ha un microfono circa di dare visibilità fino a questo sardo. Non ho chiesto questa maniera mia, questa maniera che devo pagare. Poi ho fatto una parte di ticca che si spera di essere reale e normale, ma di sempre avere questo sardo e di esaltare la lingue di questa Sardegna, come il gaddurezzo, il barchino, il tarezzo, il grezzo. Dunque, questa Sardegna è una realtà richiesta di più lingue. Dunque, adesso vi presento io sono Federica, sono di Castello, naso a Pasha, ma ho ragione se sono usata in modo diverso da questa Sardegna, come è usata in mezzo all'Oceano Sarra, bussul, cisi. In questo momento sono vivendo in Capodera. Sono una ghiatoristica, sono del 2006, ma una varia di anni fa.
Federica:Ho iniziato a raccontare una realtà di tipo differente della Sardegna, prendendo stereotipi sull'uso della Sardegna e cercando di rispondere ai suoi obiettivi. Dove sono state le mie visite social? su Instagram, ho vinto, su un blog e in ogni contesto ho avuto su questione di questa cultura sarda, tanto la prima cosa che ho potuto abbinare è che come ti fai una renda è che ti accusa di imparare su sardo. Tanto per me su sardo è un oggetto di ricerca e di studio, ma finziasa uno medio. Come espressi? la lingua è una brutta importanza. Puoi comprendere, pensare, raccontare la storia e la cultura di un luogo. Devo sempre leggere, scrivere, chiedere, scegliere in italiano.
Federica:Fino a qui, nelle visite a Ghiaia mi capita di Ghiaia, gente sarda. Tanto per me è una maniera di accettare qualcosa in comune, fino a poter lavorare su stereotipi che i sardi quando si chiedono su sardo o se non si comprende. Quindi per me è una maniera di lavorare su e voglio che tutti gli uomini che ci sono e tutti pensino a questo. Ma fino a poi potremo capire la sostanza di questi. Per me è proprio una maniera di rinforzare questo luogo. In Sardegna potremo imparare questa narrativa che ci tocca per tutti i momenti che ci sono.
Federico :Hai parlato di coraggio, a volte di imbarazzo nel parlarlo, e che tu non sei in sardo. Sono cresciuto a Carbonia. I miei nonni erano di un paesino vicino a Carbonia, barbusi. Come puoi immaginare, fede, tu conosci Carbonia. Carbonia non è che fosse, diciamo, essendo un melting pot di tante provenienze da tutta Italia, diciamo che il sardo non era il posto forse ideale dove imparare il sardo. No, quindi non lo sentivo moltissimo parlare a carbone, ma lo sentivo parlare dai miei nomi. Poi, crescendo, e man mano che, all'estero soprattutto, studiavo altre lingue, mi sono reso conto che imparavo il francese, imparavo l'olandese, imparavo lo spagnolo, imparavo l'inglese e dicevo ma è il sardo che appunto è la lingua della mia terra, della Sardegna, dove lo sto lasciando. Quindi colpisci veramente in pieno quando dici che molti e molti di noi si sentono imbarazzati a utilizzare il sardo. Quindi mi piace molto quello che tu fai, proprio per come ti sei spiegata anche ora, nel riportare in vita non solo la lingua ma anche la nonchalance delle persone nell'utilizzarla nella vita di tutti i giorni.
Federico :E a tal proposito la prima domanda che volevo farti in tal senso è quando hai realizzato tu per la prima volta che non avere una lingua?
Federica:madre era in fondo una perdita, un'esperienza di perdita. Lingua madre era in fondo una perdita, un'esperienza di perdita. Allora intanto è triste ma anche bello sapere che tante persone vivono la stessa difficoltà, lo stesso conflitto, lo stesso disagio. Perché dico che è bello e che è brutto allo stesso tempo? Chiaramente non è una cosa del tutto positiva perché significa che tante persone sono separate dalla confidenza, dall'utilizzo della lingua del luogo da cui vengono con libertà. Quindi questa è una cosa sicuramente negativa. Perché dico che è bello? È bello perché con i mezzi di oggi, quindi con la possibilità di rendere questa questione non più solo una questione personale ma collettiva, questo ci aiuta tantissimo a sentirci vicini, ad avvicinarci, a condividere le nostre difficoltà e anche un po' a normalizzare questo disagio e a rivendicare un po' questa imperfezione che ti porti dietro nell'essere un neoparlante, quella di, appunto, sentire gli adulti parlare in sardo. Tra di loro parlavano in sardo e si rivolgono a te in italiano.
Federica:Sembra una situazione strana, ma in realtà in Sardegna è comunissimo. Io mi sento un'orfana linguistica. Questa è una cosa che dico spesso per diversi motivi. Intanto perché mia mamma e mio papà sono persone sorde oltre che persone sarde. Papà sono persone sorde oltre che persone sarde, quindi tra di loro loro fanno parte della comunità delle persone sorde che utilizza la lingua dei segni, e in questo caso italiana. Anche in quel caso ci sono varianti regionali.
Federica:Quindi è tutto un mondo anche quello però anche lì io non sono stata proprio inclusa da subito in quel mondo. Anche in quel quel caso io l'Alice l'ho imparata da grande, per cui sono una persona alfabetizzata e socializzata solo come italiana, in Sardegna, quasi separato dai contesti sardofoni. Sembra strano, ma è così. Mi ricordo che quando ero all'elementari, un giorno sono tornata a casa e mia madre mi ha detto che le maestre le avevano chiesto, in maniera molto gentile con me non sono state né coercitive né mi hanno sgridato, però a mia madre le hanno consigliato di dirmi di non rispondere. Ella, invece di sì, sicuramente mi scappava qualche frase in sardo, perché io passavo l'estate a Villapuzzo. Quindi sicuramente, essendo i miei zii sardofoni, sicuramente, e anche qualche mio amico, qualche mio parente, quel tanio, quindi sicuramente io tendevovo a, come fanno un po' tutti i bambini e le bambine bilingue, a mettere un po' di parole qua e là. Da quel momento in poi, chiaramente io ho smesso, perché per un bambino la scuola è la società.
Federica:Quindi se la maestra, che è la persona con cui tu vuoi fare sempre bella figura, che vuoi che sia contento di te, chiaramente ti dice che è una cosa che fai, non è proprio, non va proprio bene, anche se si tratta di una cosa semplice, come dire sì in una lingua diversa dall'italiano. Chiaramente questa cosa ti blocca, questo soprattutto se sei come me, che la sindrome brava bambina della prima della classe, ancora peggio. Quindi, chiaramente da lì ho smesso. Il mio uso del sardo è stato per moltissimo tempo molto scarso, qualche battuta, qualche frase, qua e là, le classiche volgarità. Ho vissuto anche l'autopregiudizio, la vergogna del mio accento, moltissimo, la convinzione che parlare in sardo fosse da gaggi, da grezzi. Figuriamoci poi se sei una ragazza, una bambina, una ragazza, una donna, ancora peggio. Quindi il sardo per me è anche un modo per, diciamo, decostruire più stereotipi.
Federico :Nello stesso tempo, no-transcript, pieno dell'integrazione, l'italianizzazione della sardegna proprio in chiave di sviluppo non mi ritrovo molto in quello che descrivi e, sai, ho notato che molte persone sarde all'estero, tante che ho conosciuto come me.
Federico :Quindi, per molti è il riscoprire la lingua, per molti è riscoprire l'isola dal punto di vista del conoscerne i suoi punti di interesse culturale, sociale, eccetera. Cioè, molti si accorgono di non conoscerla veramente soltanto quando vivono all'estero, si siedono in un tavolo con lo svedese, con, appunto, magari il basco, lo scozzese, eccetera, e quindi sorge in tanti di noi questo desiderio di poter arricchire quella conversazione multiculturale con qualcosa di più rispetto soltanto al dire sono italiano, no. E poi mi ritrovo molto in quello che dici sul sul crescere, sul domandarti o perché non ho parlato più, perché non ho approfittato di più, no, di quella presenza, per esempio dei nomi, che magari sono quella, quella generazione che ci connette anche no ad una Sardegna, che magari non ha vissuto il trauma invece che i nostri genitori, quella generazione invece ha vissuto, eccetera. Come cambia secondo te la percezione di sé nel momento in cui una persona inizia a riprendersi una lingua, come stai facendo tu, come sto facendo io?
Federica:Domanda da 100 milioni Allora. Intanto il cambio di prospettiva dal lo capisco, ma non lo parlo, quindi il vedere questa cosa solo in termini di sottrazione, quindi c'è un potenziale che non esiste, che non vedi, lo capisco, ma non lo parlo, da questo si passa all'apertura, alla possibilità di impararlo, chiaramente, con tutti i limiti che ci sono, però da parlante depotenziato ti vedi da un'altra prospettiva, cioè come parlante potenziale. E questo per me è stato proprio una chiave di svolta, pensando proprio alla realtà sarda, cioè quando io vedevo le statistiche sulla riduzione della percentuale delle persone sardofone, delle persone capaci di parlare il sardo e che lo utilizzano nella quotidianità, mi sconfortavano moltissimo, vedevo proprio la parte negativa di questo fatto, di questo fenomeno. Dall'altra, invece, quando ho iniziato io a percepirmi come una parlante potenziale, ho iniziato a vederla come una possibilità enorme. Veramente è un motore che può cambiare tantissime cose perché, a dispetto di chi pensa che, insomma, il modo in cui parliamo non abbia nessun riscontro, nessun collegamento con la realtà, in realtà quello che noi facciamo, quando apriamo nuove, insomma attiviamo nuove competenze linguistiche e anche di attivare nuove possibilità, nuovi modi di vedere la realtà, ci poniamo nella condizione di trovare nuove parole e quindi anche nuove strade per esprimere determinati concetti.
Federica:È come se quelle idee potessero trovare nuovi mezzi per spostarsi. Quindi questa è una cosa che secondo me può essere trasformativa e può aiutare anche un po' a non vedere le cose solo in maniera negativa. Sempre questo fenomeno ineluttabile, questa valanga che ci viene contro della scomparsa del sardo, come se noi non potessimo fare niente. Ognuno può fare la sua piccola parte. Non è semplice, ma si può imparare o riprendere perché insomma, dentro di noi, se abbiamo avuto comunque un po' di esposizione, qualche cassettino della memoria c'è anche, per esempio, nell'italiano regionale c'è una grande impronta della sintassi sarda. Quindi col tempo si capisce che si può fare.
Federica:La percezione di sé cambia nel mio caso è stato sorprendente perché cambia a partire proprio dai colori della mia voce che colgo quando parlo in sardo. Me ne sono accorta anche quando mi capita di parlare in inglese, ma non mi ero mai sentita suonare tra virgolette in sardo e questa cosa mi boh, mi ha emozionato. Ecco le prime volte che, insomma, quando sono riuscita a fare discorsi un pochino più lunghi delle frasette corte che dicevo, io ho ancora oggi un forte blocco psicologico che viene da ragioni antiche, ovviamente, da situazioni storiche, sociali, culturali e dalla situazione proprio della progressiva svalutazione del sardo, che ha condiviso con le altre parlate locali italiane, un destino di gerarchizzazione in senso negativo rispetto all'italiano. Quindi, ci sono delle ragioni che superano quelle individuali, però, al di là di questo, io l'ho già detto, la sindrome della brava bambina. Sono un po' perfezionista, per cui far vedere agli altri che non so fare bene una cosa mi mette un disagio enorme. Disagio enorme, quindi, quando lo faccio, di utilizzare il sardo, accettando la possibilità molto alta di sbagliare, di usare italianismi, di fare errori di grammatica, è chiaro che non mi sento particolarmente a mio agio. Però, dall'altra, c'è l'autostima che sale quando mi rendo conto che so leggere testi sempre più complessi, che capisco le parole delle canzoni, che magari, non lo so, riesco a leggere, insomma, una poesia di Peppino Mereu intera, senza sentirmi completamente smarrita.
Federica:Queste cose chiaramente ti, almeno nel mio caso, sono un forte motore, una forte motivazione. Dall'altra parte, però, non ci sono solo le cose positive. Ci sono volte in cui mi sembra di stare entrando in un mondo che non conosco realmente. Non sono i miei riferimenti, quelli culturali, e questa cosa mi dispiace, mi fa anche un po' arrabbiare. Dall'altra, c'è questo senso proprio di vergogna, che è la vergogna anche sì, sociale, la norma sociale che ti limita, ma c'è anche, appunto, questa sorta di senso di inadeguatezza, per non essere abbastanza sarda. Non sono italiana al 100%, non sono abbastanza sarda, non sono Che cosa sono.
Federico :Sono molto curioso quello che dici perché, come forse saprai, quando tu vai a Parigi e sbagli a pronunciare croissant, il parigino subito magari cerca di parlarti in inglese, anche se stai facendo tutti gli sforzi possibili per pronunciare bene quella parola Magari. invece, quando un tedesco prova a parlare l'italiano, solitamente in Italia le persone sono abbastanza come dire accomodanti, anzi sono contente che questa persona, pur sbagliando, sta comunque facendo lo sforzo.
Federico :Ecco, nel parlare il sardo a chi il sardo lo parla molto bene, secondo te siamo più vicini? Cioè l'effetto che fai, più vicino al francese con la faccia schifata, oppure all'italiano davanti al tedesco che ci prova? Cioè.
Federica:E soprattutto la seconda domanda su questo è si aggiunge un livello di difficoltà e no-transcript momento in cui è un buon momento per riavvicinarsi al sardo, perché si sta facendo tanta sensibilizzazione anche da questo punto di vista. Nel senso, io personalmente per lunghi mesi mi sono rifiutata completamente di parlare il sardo in pubblico o con persone più esperte, anche se lo sapevo fare. Molti casi ho percepito proprio come ostile quel mondo lì, nel senso che è inutile negarlo per ragioni che sono anche comprensibili, che ho capito. Col tempo però una parte, se non altro, della comunità sardofona si è un po' trincerata in un atteggiamento di salvaguardia della lingua che si è trasformato in uno steccato insuperabile. Le ragioni, che io ritengo almeno in parte comprensibili e anche forse condivisibili, sono legate alla mancanza reale di atti politici, di una politica linguistica che fosse veramente finalizzata a realizzare il bilinguismo in Sardegna.
Federica:Quindi, cosa vuol dire? Che quella parte di popolazione sardofona si è sentita in dovere di proteggere la lingua sarda dalla possibilità molto concreta che questa lentamente vada a scomparire. Questo comportamento, tra l'altro, si è esacerbato nel momento in cui quella stessa comunità è stata oggetto di discriminazioni, quindi prese in giro, quindi insomma, discriminazioni, microaggressioni, discriminazioni anche sistemiche. Non parlo solo, magari, appunto, della presa in giro dello scimmiottare l'accento sardo, che è una cosa che ci siamo assolutamente abituati, comici e comiche che giocano molto su questo. Insomma, si veniva da una fase storica, legata anche in parte a coercizioni, insomma tutto veramente una sorta di violenza, ecco, perpetrata in diversi modi contro la comunità sardofona. Quindi questo, quei comportamenti di ostilità e anche la classica frase, almeno che io ho sentito e percepito come ostile se lo devi rovinare, tanto vale che non lo parli. Si è podugistiona in malli, me lo so. Chi digittisi che appunto un po' riflette questa sorta di senso di protezione.
Federica:Detto ciò, questo comportamento, per quanto comprensibile, insomma, ascrivibile a unati a un determinato contesto, è superabile. Come lo si sta facendo? lo si sta facendo grazie intanto ai mezzi di comunicazione, diciamo contemporanei, quindi social, insomma le varie, tanti strumenti che stanno comunque provando a normalizzare, a normalizzare il sardo, i neo-fuedalorisi, quindi gente come me, gente molto più brava di me, che in qualche maniera si sta ritagliando il suo spazio e sta portando non solo le sue sfumature, i modi di dire nuovi insomma, quindi un modo di parlare il sardo che è nuovo, che è attuale. Quindi questo fa pensare che è una lingua viva e non una cosa da tenere in una teca per parlare di, insomma, soltanto di certi argomenti, ma stanno portando anche nuove istanze. Io stessa, sui miei canali, ho spesso parlato anche della necessità proprio di come dire?
Federica:cambiare quell'atteggiamento, trasformarsi un po' nell'italiano super felice quando arriva l'attore di Hollywood e dice tre parole in croce, sbagliatissime, ma comunque sta parlando nella tua lingua e tu sei contento. Quindi io cerco anche di usare la mia visibilità, quella che ho, proprio per cercare di sensibilizzare le persone più esperte a farsi scuola veramente, a essere disposta ad essere educata da noi, quindi abbracciare la possibilità di avere delle cose da imparare, ma di trovare veramente degli spazi in cui passare le proprie conoscenze, le proprie competenze, perché non siamo in conflitto, non siamo in competizione, non siamo gli uni contro gli altri, stiamo veramente lavorando per salvaguardare le nostre lingue o comunque la nostra varietà linguistica e secondo me questo è importantissimo ed è anche molto bello perché, se ci pensi poi, i neofuodadorisi sono un po' coloro che possono anche far girare un sardo. Comunque, aiutare la Sardegna a traghettarsi verso un sardo che si può parlare dovunque, con chiunque, insomma no.
Federico :Menzionavi infatti i social che, appunto, sono uno dei mezzi principali che tu utilizzi e sono tanti e sempre più, per fortuna no I profili di persone che, o parlando della letteratura, o parlando della storia, o facendo dei video simpatici, eccetera, comunque parlano in sardo, divulgano il sardo nelle sue, anche varianti, ed è molto, molto bello e molto importante, ripeto, anche per chi vuole avvicinarsi a questa lingua. È attraverso i canali che oggi si utilizzano. Non ci si può nascondere dietro questo.
Federico :A livello personale, la riscoperta del sardo, ma anche questo tuo, ovviamente, anche il tuo lavoro di guida, in che modo ti ha fatto anche riscoprire la sardegna? cioè non so se è capitato anche a te, crescendo, ovviamente, forse per la poca consapevolezza. La sardegna si è il tuo mondo, cresce la tua isola, sai che c'è un mare che ti circonda, sai che c'è un mondo là fuori, oltre il mare. Mi chiedo se per te è cambiato proprio il rapporto con la Sardegna, se la Sardegna è diventata da sfondo, a protagonista, e ripeto, non solo per quello che fai come guida, che ti obbliga in qualche modo a vederla come tale, ma anche come persona, come sarda.
Federica:Dunque io, come ho già detto, sono una persona sarda, ma alfabetizzata e socializzata solo come italiana in Sardegna. Questo cosa significa Che la Sardegna ha un ruolo abbastanza marginale nel percorso di formazione. Questo ha riguardato me ed è stato un po', come dire, una cosa normalizzata finché non sono arrivata all'università. Non che io di Sardegna non abbia mai sentito parlare, ma si trattava comunque di appuntamenti sempre extra, qualcosa quindi il materiale didattico fuori dai libri di testo legite, magari laboratori extrascolastici quindi, oppure momenti ritagliati nell'ambito delle altre materie, magari quell'oretta di storia della Sardegna, insomma pezzettini di puzzle che venivano messi qua e là, per cui sono grata perché altrimenti veramente sarei stata completamente rimossa nel tempo e nello spazio, ma comunque non sufficienti per darti una dimensione, come dire, orizzontale nella relazione con il mondo. Quindi io sono stata una persona con delle difficoltà serie a collocarsi nel tempo e nello spazio, proprio perché questi erano tutti frammenti che per me era difficile poi di fatto collegare con il resto, proprio da inserire nella linea del tempo. Una cosa che sembra strana, però per me è veramente stata una difficoltà.
Federico :Poi, se pensi a quanto è lunga la nostra linea del tempo, una cosa che sembra strana, però per me è veramente stata una difficoltà.
Federica:Poi, se pensi a quanto è lunga la nostra linea del tempo, ma poi a quante cose ci sono dentro, cioè io mi ricordo ci sono quelle tre cose che tu sai, tipo, sai quella cosa di Vassalli, valvastori, valvastini, ecco, il mio corrispettivo sardo è, in Sardegna ci sono stati nuragici, preistoria, sicuro, questo era una certezza. Poi la scrittura, i Fenici, altra certezza incrollabile. E appunto, in Sardegna non ci fu il feudalesimo, che è una cosa che mi porto dietro dalle medie, ma anche qui, chiaramente, dopo sono state in grado di sviluppare nella sua complessità, perché in realtà la Sardegna è stato il posto dove il feudalesimo è rimasto per più, per più tempo, è stato superato solo dopo, insomma, dopo la seconda metà dell'ottocento, nella seconda metà dell'ottocento. Quindi, queste cose messe così, insomma, per me appunto, ripeto, è normale, ma questo ti fa anche interiorizzare, senza che nessuno te lo dica chiaramente, che in Sardegna è successo granché, che la Sardegna tutto sommato è una propagine di qualcos'altro.
Federica:Chiaramente non ho nominato i giudicati, ma anche quelli sono una delle cose che ti porti dietro, no, e sono, se ci pensi, anche le cose più identitarie che più facilmente sei portato a, come dire, utilizzare come fondamento, no Della tua alterità, no Quello che ti distingue. Quindi ho vissuto questa sorta di rimozione spazio temporale, soprattutto perché di Sardegna a livello geografico sapevo veramente poco e quando sono arrivata all'università è stata durissima perché io ho studiato archeologia. Se fossi andata fuori magari sarebbe stato lo stesso, ma come?
Federica:dire sarebbe stato normale non conoscere benissimo la geografia di altri luoghi. In Sardegna si dava per scontato che io sapessi esattamente dove erano le località, che sapessi esattamente pronunciare la toponomastica dell'isola, che Ops è in lingua sarda, e io non lo sapevo parlare. Poi, tra l'altro, il sardo standardizzato recentissimamente, con dei tentativi veramente solo recenti, per cui magari anche una scrittura sempre diversa, senza accenti, per cui sicuro sbagliavo. Adesso faccio un esempio che magari non è quello, però il primo che mi viene in mente io dicevo perfugas e non perfugas, magari, e il mio professore di preistoria si arrabbiava moltissimo, diceva ma voi non sapete neanche da dove venite. Insomma, ci sgridava tantissimo per questa cosa grande figuraccia, e quindi la presa di coscienza, come uno schiaffone in faccia, del fatto che io di Sardegna sapevo poche, niente.
Federico :Ti mancavano delle chiavi per aprire ulteriori porti mi mancavano proprio delle competenze.
Federica:Quindi, anche nel momento in cui ho iniziato a fare la guida per me non è stato immediato, anche se il mio percorso di riappropriazione culturale è iniziato quando ero all'università. Però in realtà è un percorso in cui sono ancora adesso e che ancora deve arrivare a maturazione, e non so neanche se come dire. Non la penso come una curva che arriva in un luogo preciso. Mi penso inco di gente ha bisogno di riscoprirsi Quella esperienza del sardo di Sterrau o della sarda di Sterrada che per alterità si scopre sardo e decide di fare questo lavoro di scavo archeologico nelle sue memorie, nelle memorie dei familiari e anche nei luoghi. Succede anche in Sardegna. No-transcript. Anche quelle sono, per alcuni sardi, delle finestre su una realtà che è familiare ma anche sconosciuta come diceva Deandre, colpiamo un po' a casaccio perché non abbiamo più memoria.
Federica:No, e non è una colpa, certo, non è assolutamente una colpa. Io anche su questo, sui social vado come un ariete. Non è una colpa non conoscersi, perché non è una cosa che dipende da noi, non è una scelta che abbiamo fatto noi, è una responsabilità collettiva, sicuramente, che coinvolge anche gli operatori culturali, come me, nel cercare di fare del luogo un elemento che dà senso alla tua narrazione, non solo uno sfondo, non solo uno scenario, ma veramente io ho pensato a un certo punto che la mia, quella di Federica, non potesse più essere la storia solo di un chi, ma dovesse essere la storia di un dove, di un dove prossimo, ma anche di un dove un pochino più ampio, e soprattutto anche la storia di come e perché la Sardegna viene raccontata in un certo modo. Quindi questo può sintetizzare un po' quello che io cerco di fare sui miei canali.
Federico :Bellissimo, questo di scoprire non solo il chi ma anche il dove E senti Fede come guida. tu stai notando che lo stesso impegno che c'è nel far riaffiorare certe tradizioni, certe parti della nostra identità, menzionare i carnevali estivi, sicuramente stanno affiorando, si stanno riportando in vita molti più maschere, per quanto mi riguarda, rispetto magari a quante non affiorerà 0, 10 anni fa ecco lo stesso impegno che si sta mettendo nella manifestazione nella sagra è accompagnato da un impegno a voler però poi studiare bene da dove nasce quella maschera, da dove nasce quella manifestazione, da dove nascono quella maschera, da dove nasce quella manifestazione, da dove nascono quegli usi e quei costumi?
Federico :oppure ci si sta fermando all'esibizione, alla manifestazione. Cioè, c'è sostanza, la punta dell'iceberg è la manifestazione. Ma quel 90% di sommerso, c'è l'intenzione di scendere, di tapparsi il naso e scendere un po' immergersi e farlo affiorare, oppure no?
Federica:Allora io cerco di sospendere il giudizio, una cosa che cerco di usare come metodo. La sospensione del giudizio mi viene molto difficile a volte, come in questo caso, perché ho delle opinioni forti su questo se ci fosse quello che dici tu, cioè la volontà reale di studiare, di riportare in vita, che poi anche lì riportare in vita cosa stai riportando in vita, nel senso i carnevali della Sardegna ad oggi sono per molte comunità ancora il momento più importante dell'anno. Per alcune comunità sarde sono veramente un rituale collettivo che convive con le festività, magari cristiane, quelle insomma classiche che viviamo, che scandiscono il nostro calendario, ma forse sono, da un certo punto di vista, ancora più importanti di quelle, senza che la cosa metta in discussione il loro credo. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che quello a cui noi assistiamo, quando vediamo le maschere messe insieme in contesti con cui non c'entrano niente, è la messa in scena dell'autentico, è il tentativo di prendere alcuni elementi identitari e renderli un modo per farsi conoscere, ma in realtà è soltanto intrattenimento.
Federica:Poi, il lavoro filologico della riscoperta o magari della ricostruzione di alcune maschere è quello che, secondo me, prescinde dal carnevale estivo. È una cosa che in tante realtà sarde si sta facendo, ma, ripeto, non necessariamente in chiave turistica. Quindi il rischio, secondo me, è quello proprio di feticizzare questi elementi e trattarli semplicemente come uno strumento per intrattenere i turisti, per guadagnarci sopra. Io mi ricordo che una volta ho litigato, no, litigato, no, ho discusso, ecco animatamente con una signora perché durante, insomma, un dibattito, io ho detto che i carnevali estivi non dovrebbero essere fatti e questa persona mi ha detto, questa signora mi ha detto ma è diritto anche delle persone quello di vedere le maschere, eccetera, è un diritto, siamo sicuri di avere la chiarezza su questo. E diritto quello di usufruire, o comunque di fruire di un contenuto che è veramente un contenuto rituale complesso.
Federica:Voglio dire, la mancata, l'attrito che può creare mettere in atto questi rituali si è evidenziato e emerso anche quest'anno. Anche recentemente c'è stato un dibattito fortissimo proprio sui carnevali della Sardegna. C'è stata una polemica enorme che ha fatto comprendere quanto, finché è una cosa intrattenitiva, va bene, finché i umani in quei binari stabiliti dalla cultura dominante, va bene, finché è folklore, va bene, ma se diventa qualcosa di più, quindi se assume un carattere troppo identitario tra virgolette emancipativo, non va bene più e allora viene stigmatizzato.
Federico :Anche perché, se si utilizza la parola diritto, si potrebbe utilizzare la parola dovere, nel senso, se tu pensi di avere diritto di vedere quella maschera, però è anche il dovere di studiarti nella storia e quindi di capire da dove proviene, cosa rappresenta. E mi domando quanti sardi che non sono di Mamoiada o che non sono cresciuti veramente con queste pratiche che, come dicevi tu, fanno parte della loro cultura, dei loro usi, della loro identità, quanti altri sardi effettivamente conoscono, per esempio, la storia dei mamutone? da dove deriva questa maschera? cosa rappresenta quindi? molto interessante, in che modo, secondo te, possiamo riacquistare o tutelare la nostra specificità, cioè la specificità della Sardegna, ma anche delle Sardegne dentro la Sardegna, e allo stesso tempo relazionarci con il globale, con la globalizzazione, con questa spinta all'omologazione, con il fatto che ci vogliono tutti uguali e che cerchiamo anche di emergere nei social quasi omologandoci agli altri anziché sottolineando le nostre specificità? Insomma, come si mescola tutto questo, secondo te?
Federica:Allora si mescola come si mescola. Dunque, intanto, almeno io posso condividere quelli che sono gli strumenti che io utilizzo. Chiaramente non sono risposte universali o ricette. Io credo che la conoscenza sia uno strumento di potere che può essere usato per toglierti gli strumenti per conoscerti, come succede ai popoli negati e come succede alla Sardegna, che è soggetta a varie forme di dominazione, tutte concatenate tra di loro. Quindi può essere usato come uno strumento di potere contro di te, ma è uno strumento che tu puoi utilizzare per, come dire, rafforzarti, no Per diventare tu narratore di te stesso. Faccio è intanto cercare di dare più informazioni possibili. Non è semplice, cerco di dare più strumenti. Quindi non è tanto quello che dico io, quanto magari un metodo di lettura di contesto. Io utilizzo la domastica quando faccio le visite guidate, che è uno strumento proprio di leggere, uno strumento per leggere il contesto urbano, che ti mette nella prospettiva di farti delle domande. Quindi questo, per esempio, è una cosa che faccio. Oppure trovo molto utile includere nel discorso anche magari le fonti. Quindi cerco sempre di dare riferimenti bibliografici. Quindi penso che proprio la conoscenza sia la cosa più importante che noi possiamo utilizzare per diventare proprio narratori di noi stessi, cioè per tornare a essere comunità narrante.
Federica:Mi rendo conto a volte di toccare nervi scoperti e magari lo fastidio, magari mi viene detto, non è che mi viene detto. Penso magari che da fuori potrei essere percepita come contorta, come una persona che mette troppa complessità. Anche se mi sono promessa di non utilizzare la parola complessità, l'ho messa nella lista nera insieme a resilienza, di fatto, ecco, credo che sia questo un po' il tentativo di diversificare i contenuti, quindi ampliare il più possibile gli strumenti del nostro bagaglio per leggere il reale. Questo ci dà la possibilità di entrare in contatto con il nostro essere altro, quindi con il entrare in contatto con il nostro essere altro, quindi entrare in contatto con quel discorso di alterità che contraddistingue la Sardegna, almeno dal Settecento, e di farci pace, perché poi di fatto di questo si tratta noi siamo molto. C'è un conflitto identitario che intorno al quale si gira, senza volerci entrare dentro, per tutta una serie di motivi, tra cui il fatto che certi temi siano troppo polit Sardegna.
Federica:Trovo utile come strumento questa è l'ultima cosa che ti dico mettere in luce sempre il quadro di disuguaglianze e di disparità, cercando di ricostruirne il quadro storico, quindi partire dal particolare e arrivare a quel problema sistemico che ci permette di individuare domani delle soluzioni collettive, quindi non ragionare tanto sul comportamento della singola persona, della singola cosa che succede, ma cercare di trascendere, trovare proprio degli schemi che ci aiutano anche a dare delle ragioni reali alle cose che accadono, al nostro andare, al nostro decidere di tornare, al nostro decidere di restare. Sono tutte scelte con cui noi siamo sempre in perenne conflitto, e anche le scelte degli altri alimentano questo conflitto, ci mettono in discussione e a volte, insomma, siamo molto creativi nel trovare delle letture che però, insomma, non mettono veramente insieme i pezzi. Io è questo che cerco di fare, per cui se una persona vedo che si infastidisce, io sono contenta perché so che quando arriverà a casa proverà a leggere, a studiare a trovarsi gli strumenti per farsi la sua opinione, forse anche solo per dire Federica, non aveva ragione, io la vedo in un altro modo.
Federico :Io credo che sia questo lo scopo del mio lavoro, piùcio che hai. Io penso che a maggior ragione oggigiorno dobbiamo essere capaci anche di convivere con la frizione che si viene a creare quando due opinioni diverse si incontrano.
Federico :Dalla frizione di fatto nascono nuove idee, nasce l'innovazione, la creatività, il confronto costruttivo, ovviamente con la giusta educazione, con il rispetto delle opinioni altrui. Però io credo che bisogna convivere con il dibattito, bisogna convivere con questa frizione, anziché cercare sempre di mettere la testa sotto la sabbia e, come dire, fuggire a qualsiasi occasione di confronto. Hai menzionato come far convivere insieme il restare, il partire, il tornare. Come sai, questo è un tema molto caro, uno perché ho vissuto sulla mia pelle, vivo sulla mia pelle tutte e quattro dimensioni, compresa quella dell'arrivare in Sardegna, che vedo attraverso gli occhi della mia compagna, che non è neanche italiana. Come pensi che queste quattro dimensioni della Sardità, del capitale umano della Sardegna potrebbero e possono non solo convivere ma in qualche modo generare un'intelligenza collettiva che finisce per arricchirci ulteriormente in quanto popolo che, per necessità, è dovuto anche essere colpito da una diaspora molto grande, continua ahimè ad essere una diaspora importante in Italia e in Europa. E quindi, come possiamo fare un reframing positivo di tutto questo, secondo te?
Federica:Sicuramente non è semplice, sicuramente non ci sono ricette universali e forse io mi trovo in confidenza, mi sento più confortata se penso proprio che non c'è una ricetta valida per tutti e non ci sono degli standard che possonoce. In un'isola è difficilissimo, nel senso che i nostri confini sono quelli da sempre e sono anche una ferita e sono anche un punto, quel luogo dove, come direi, che ti suscita la diffidenza ma anche la curiosità. Quindi il confine per noi è proprio una dimensione non solo geografica, è molto di più. Pensarci fuori da questi confini secondo me aiuta proprio a immaginare che la comunità delle persone sarde non è fatta soltanto da chi è in Sardegna, ma anche da chi in Sardegna, per tanti motivi, non ci vive più. Queste persone non sono meno sarde, anzi, molto del nostro patrimonio culturale e della sua conservazione si deve alle persone all'estero che mantengono viva proprio il desiderio di non perdere queste radici.
Federica:Quindi io credo che intanto bisogna fare del diritto a mantenere vivi questi legami una lotta di tutte e di tutti, superando un po' anche questo concetto del sentirsi parte di una comunità nella comunità, nel senso che in Sardegna c'è una parte di società che si sente solo sarda, una parte che si sente solo italiana, una parte che si sente sarda ma italiana. Quando parlo di superamento non mi riferisco assolutamente allo sma di coscienza del quadro di disparità di potere che caratterizza il contesto sardo. Questa consapevolezza serve anche e soprattutto a creare dei punti, perché chi si riconosce come parte della cultura dominante, che è sovra rappresentata, perché trova spazio in politica, nei media, in letteratura, tutta la nostra cultura è per la maggior parte italofona, anche il nostro mondo politico. Quindi, prendere coscienza di questo, del fatto che c'è questo quadro di disparità, può servire a chi si riconosce come parte di quella, diciamo di quel gruppo, diciamo così come dei privilegiati. Quindi, riconoscere il proprio privilegio, non per sentirsi in colpa, non per farne una colpa.
Federica:Quindi questo non deve essere neanche un motivo, dall'altra, per accusare nessuno, ma una presa di coscienza profonda che porta e accompagna tutti verso la responsabilità condivisa di creare una situazione in cui la conoscenza della Sardegna, la competenza linguistica siano qualcosa di tutte e di tutti. Dopodiché ognuno sceglie poi la propria strada, altrimenti non è una scelta libera. Se ti danno solo una pizza da mangiare, tu puoi pensare che quella sia la tua pizza preferita, ma se non hai assaggiato le altre, come fai a saperlo? Ho fatto un esempio banalissimo, però questo è, rende l'idea certo e Fede se ti trovassi ora a scrivere un libro su cosa sarebbe incentrato?
Federico :Tematiche come queste, oppure qualcosa di completamente diverso?
Federica:No, mai pensato a me stessa come una persona in grado di scrivere un libro.
Federica:Mettendomi nel panni di una persona che pensa di essere in grado, mi piacerebbe molto magari provare a scrivere una guida contronarrativa della Sardegna. Quindi, come dire, magari immaginare un viaggio che è un viaggio non solo di una persona che viene da fuori, ma che preveda anche la compresenza di una persona che scopre la Sardegna da dentro. Quindi questo viaggio con una doppia prospettiva, che incontra la realtà plurilingue, policentrica della Sardegna, questo paesaggio che può essere montano, costiero, rurale, pastorale, urbano, quindi questa grande diversità e si relaziona con essa, con i propri stereotipi, con gli stereotipi che ha interiorizzato, quindi sia con i pregiudizi che con gli autopregiudizi, che sono molto peggio dei pregiudizi perché è difficile, da persona che ne è portatrice, riuscire a decostruirli. Quindi, cercare di rendere, di dare una dimensione narrativa a questo lavoro proprio di smontaggio progressivo di tutti i tuoi preconcetti e, al contempo, la scoperta di realtà che, appunto, sono quello che sono, né meglio né peggio, è una realtà che contiene una bellezza poetica immensa ma è anche un luogo dove ci sono disparità, contraddizioni e tante storture, appunto, queste disparità prendono una forma veramente terribile.
Federica:A volte penso all'inquinamento, penso alla militarizzazione e quindi insomma anche per esempio, adesso mi è venuto in mente sarebbe molto bello se qualcuno l'ascolto e lo sa fare, lo faccia scrivere un libro sullo scopolamento che non sia solo negativo, quindi narrarlo come se fosse un fenomeno, perché è così da iscrivere in un percorso storico grande e ampio. E raccontarlo in prospettiva, perché quello che io intuisco poi magari mi sbaglio, però è che i nostri stili di vita abbiano già mostrato che sono insostenibili. Quindi le società, secondo me, progressivamente, dopo questa fase di grande spopolamento, torneranno a una dimensione più ridotta e la mia preoccupazione è che un luogo come la Sardegna, che già, come ho detto più volte, oggetto di tante forme di discriminazione e di dominazione, diventi uno spazio per il capitale che si sta riorganizzando. E se noi non ci facciamo trovare preparati, succede che appunto ci verranno imposte delle formule che non scegliamo noi e che non partono questo è importante dall'ascolto umile. Cioè penso che non dobbiamo tenere temere il lavoro lung, i tempi lunghi e l'ascolto umile, questo.
Federico :Io sono d'accordo con quello che dici Fede. Io dico spesso che tutto ciò che si svolta prima o poi si riempie. Il problema è di cosa si riempie. Riempie perché sono d'accordo con te che a un certo punto ci sarà un contraccolpo rispetto a queste enormi città che continuano a crescere. A un certo punto, se vivi in zona 5, 6, 7 di Londra, è come se stessi vivendo a Iglesias ma viaggiassi per Cagliari. Quindi, di fatto, a un certo punto le persone si renderanno conto che vivono nella periferia della periferia, della periferia di una grande città e quindi si riscopriranno, secondo me, modi di vivere e modelli nuovi, o meglio, modelli già esistenti che però si erano lasciati indietro. Quello che temo è che il problema è sempre di che cosa si riempie? quello che si svuota?
Federico :no, un'isola così bella al centro del Mediterraneo non sarà mai vuota, veramente si riempirà di qualcos'altro, e lì bisognerà capire, appunto, di cosa si riempirà e chi ci sarà qui in una terra che si svuota, chi resterà qui a in qualche modo preservarne la bellezza, la storia, la cultura. È una sfida grande, quella dello spopolamento.
Federico :Tu pensi che la Sardegna ecco, so che qua apriamo un vaso di Pandora, ma dai proviamo. Pensi che la Sardegna debba fare uno sforzo per rendersi attrattiva, almeno nei confronti dei tanti che la stanno lasciando. Ci deve essere uno sforzo per cercare di non dico richiamare, ma riattrarre la diaspora. Tanti della diaspora, che magari hanno fatto delle belle esperienze, sono in una fase di vita dove vogliono riconsiderare il loro stile di vita. Magari stanno riguardando la Sardegna con interesse per tornare oppure non ci deve essere questo sforzo.
Federica:Allora, io faccio fatica a pensare in termini di. Ne abbiamo già parlato noi, tra, l'altro, di questa cosa in termini di attrattività, non attrattività.
Federica:Bisogna intendersi molto bene su quello che si Per quello ti facevo stare a guardare diventare un posto vivibile per le sue comunità, quelle che già ci sono, perché la cosa che a me viene sempre da dire quando sento il ritornello declinato in vari modi in Sardegna non c'è niente e in Sardegna ci sono le sarde e i sardi, ci sono le comunità. Ci sono delle comunità, oggi, che vivono lo straniamento di questi stili di vita, che non sono più compatibili con certe dimensioni, che vivono le disparità nella maniera più forte e ingiusta possibile. Quindi io credo che mettere in luce questo quadro di disparità, di potere esserne molto consapevoli, sia il primo passo. Quindi, cercare di risolvere questo nodo nessuno lo vuole fare chiaramente perché implica tornare indietro e ridimensionare completamente la propria idea di benessere, la propria idea di sviluppo, la propria idea di crescita. Quindi, smettere di pensare a questi costrutti come a qualcosa di universale, che può essere sintetizzato in un modello e poi imposto in qualsiasi realtà, implica comunque per forza dover rinunciare a qualcosa, lasciare andare qualcosa, e questo non si vuole fare.
Federica:Capisco benissimo perché. Perché però io credo che serva creare più spazi plurali di dialogo possibili. Per plurali intendo veramente, includendo tutti i saperi che arrivano in Sardegna, tutte le soggettività che sono presenti, tutte le soggettività che arrivano da fuori, anche quelle che ad oggi occupano uno spazio marginaleale, che sono margine nel margine. Quindi io credo che la creazione di spazi sia fondamentale. Penso che le nuove istanze in Sardegna possano non attecchire senza il presupposto dell'ascolto di chi quel territorio lo abita.
Federica:La memoria non è assolutamente un precipitato storico immutabile. La tradizione non è qualcosa che noi dobbiamo prendere dalla teca e replicare all'infinito. È qualcosa che la stessa parola tradizione implica un movimento. Noi la pensiamo come qualcosa di statico, in realtà, come l'identità, è qualcosa di dinamico. Però perché possa essere contaminata bisogna partire da un radicamento forte. Quindi io personalmente, lo sai, sono radicata e radicale rispetto ad alcune cose. Non credo che ci sia un dettame di dover essere attrattivi. Che cosa intendiamo? perché poi i paesi che non sono conformi all'estetica, perché poi è inutile che facciamo finta che non sia così. C'è un'estetica, si è costruita negli anni un'estetica del paese da ripopolare, comunque quello che ci fa pensare che può essere ripopolato anche perché è bello. E quelli che invece non corrispondono a quell'estica, cosa fanno? Rimangono fuori.
Federica:Questo discorso, tra l'altro e qui chiudo si interseca in maniera molto preoccupante da quello che sto vedendo ultimamente col turismo, perché vedo lo stesso formulario che si utilizza quando si vuole, tra virgolette, vendere il luogo Sardegna ai turisti a un certo target, a più di un target, alle nicchie. Lo vedo applicare ai discorsi e ai ragionamenti sullo spopolamento. Questo a me preoccupa moltissimo perché significa che in certi casi si sovrappongono i bisogni dei turisti a quelli dei residenti e questo modello, che è stato portato avanti e potenziato e realizzato anche a livello urbanistico dai primi anni del 2000, ha già dimostrato che non funziona. Quindi io partirei dai bisogni delle persone, ma delle persone che già ci sono, e una volta che quelle comunità vengono messe nelle condizioni di fiorire, allora a quel punto possono essere oggetto anche di contaminazioni, cambiamenti, adeguamento a nuove istanze. Però tutti questi processi non sono né veloci né senza conflitti, come dicevi tu prima. Molto bene, bisogna accettare le frizioni, perché è normale che ci siano.
Federico :Vorrei concludere con questa domanda Hai menzionato prima della Federica, bambina che a scuola veniva un po' ripresa perché magari rispondeva con ella. bambina che a scuola veniva un po' ripresa perché magari rispondeva con ella. ecco, se potessi parlare alla te bambina che appunto diceva a scuola e poi smetteva appunto perché veniva ripresa, cosa le diresti oggi?
Federica:Sentiti libera. Per me è molto difficile rispondere a questa domanda, perché non so se mi devo mettere nei panni di una persona al tempo che parlava con me, cioè se mi devo sdoppiare pensando, io adulta, che in quel momento storico non lo so Fede, nel senso che oggi io, la me adulta, direbbe alla me bambina, me, bambina, eia, vuol dire sì alla maestra. Le dici ti sto dicendo sì, non ti sto dicendo una parolaccia. Parlare in sardo non è assolutamente maleducazione. Se ci sono delle ragioni per cui io non devo rispondere, eia, me le spieghi, vediamo se sono valide, probabilmente la me, oggi madre di prole, andrebbe a parlare con le insegnanti e proporrebbe probabilmente un progetto per cambiare questa narrazione, perché io ho fatto della narrativa contraria un po' un metla in italiano. Oggi la situazione è così. Non è maleducazione, quindi non è fatto di per sé niente di sbagliato.
Federica:Se le tue maestre vogliono che a scuola tu parli solo in italiano nell'ora di italiano, va bene. Non è assolutamente una cosa di cui vergognarsi quella di parlare in sardo. Puoi farlo con i nonni, puoi farlo con gli zii. Ecco, forse mi incoraggerei a coltivare perlomeno tutte le situazioni extrascolastiche in cui assumere diventare molto brava a parlare in sardo per poi un giorno portarla a scuola, magari portare una ricerca, portare una canzone, proporre, non lo so, un libro, una poesia, qualcosa da vedere tutti insieme. Cercherei di trovare un ponte tra mondi. Questo proverei a fare.
Federico :Bene, la nostra conversazione si ferma qui. Ma, come sappiamo bene entrambi i nostri confronti, i nostri dialoghi su tante tematiche toccate in questa conversazione non si fermeranno qui. Anzi, io continuerò a screenshotare esiste questa parola tante delle tue storie, perché c'è talmente tanto contenuto che dovresti vedere la mia galleria di foto del cellulare. Me le salvo tutte me le leggo con calma, eccetera per ora io ti ringrazio tanto per il tuo tempo, la tua disponibilità.
Federica:Spero di vederti presto grazie a tui saluti a tutti e di nuovo grazie a Fede per questo spazio. È stato bello altrettanto ciao Fede.